Il nuovo album (in uscita prossimamente) è strutturato come un’insieme di collaborazioni tra The Boys and Kifer e diverse personalità tra artisti e musicisti.
"Where is The Boys and Kifer?" è sostanzialmente una ricerca sonora ma sopratutto visiva, in quanto regala un panorama apparentemente confusionario delle realtà che ruotano attorno all’artista e che lo portano a mimetizzarsi.
L'uscita dell'album è preceduta dalla pubblicazione di alcuni materiali - tra cui testi, interviste e video - volti a comprendere meglio la ricerca di The Boys and Kifer e degli artisti scelti per le collaborazioni.
"Where is The Boys and Kifer?" è sostanzialmente una ricerca sonora ma sopratutto visiva, in quanto regala un panorama apparentemente confusionario delle realtà che ruotano attorno all’artista e che lo portano a mimetizzarsi.
L'uscita dell'album è preceduta dalla pubblicazione di alcuni materiali - tra cui testi, interviste e video - volti a comprendere meglio la ricerca di The Boys and Kifer e degli artisti scelti per le collaborazioni.
The Boys and Kifer in collaborazione con Enrico Boccioletti
Enrico Boccioletti è un artista e musicista, di stanza a Milano. La sua ricerca affianca intimità e l’intangibile, presenze spettrali, soggettività e trasformazione generazionale in un ambiente mediato da detriti tecno-culturali. Lavora intrecciando composizioni sonore e video, testi, oggetti, immagini e interventi ambientali. Apparizioni recenti includono: ZKM, Karlsruhe, La Quadriennale di Roma; Material, Mexico City; Operativa, Rome; Carroll/Fletcher, London; Live Arts Week, MAMbo, Bologna, e altre esposizioni pubbliche o segrete.
The Boys and Kifer in collaborazione con Sara Davide
Click here to edit.
Sara Davide vive e lavora a Milano dove sta per concludere gli studi di Arti visive (Scultura) all'Accademia di Belle Arti di Brera. Ha studiato piano, canto e sassofono alla Scuola Civica.
Sara Davide ha collaborato con The Boys and Kifer nella canzone "J'imagine", primo brano estratto dall'album.
Sara Davide ha collaborato con The Boys and Kifer nella canzone "J'imagine", primo brano estratto dall'album.
The Boys and Kifer annuncia la collaborazione con Bellagio Bellagio
Bellagio Bellagio è un progetto collaborativo di Matteo Nobile e Natalia Trejbalova nato nel 2015. Bellagio Bellagio è un archivio degli stereotipi audiovisivi suddivisi in vari argomenti scelti casualmente: il potere delle macchine, il maculato selvaggio, il futuro oggi, evasione nel paradiso tropicale, la purità verde & bio, l’umanizazzione della flora. L’ambito di ricerca di Bellagio Bellagio è la codificazione stock (a partire dalla stock photography – l’immagine a scopi illustrativi) dell’immaginario popolare e in conseguenza la creazione di un certo comportamento che potrebbe essere definito stock.
Intervista ad Alessandro Moroni.
Alessandro Moroni (1992) si è laureato alla Nuova Accademia di Belle Arti Milano a 2015. E' uno dei membri fondatori dell'artist-run project /77. Attualmente vive e lavora a Milano.
Alessandro Moroni ha collaborato con the Boys and Kifer nella canzone "The Man of the Crowd", secondo brano estratto dall'album.T
Alessandro Moroni ha collaborato con the Boys and Kifer nella canzone "The Man of the Crowd", secondo brano estratto dall'album.T
Roberto Casti: Vorrei partire parlando di quello che è successo durante la mia mostra [“Together Alone”, mostra personale tenutasi a Milano negli spazi di Plasma]: ti sei esibito al posto di The Boys and Kifer. Mi piacerebbe sapere l’idea che hai tu della collaborazione con altri artisti e musicisti, anche perché questo discorso si ricollega molto bene con quello che avete fatto finora con /77. Una delle cose che apprezzo tanto di voi è la volontà di attivare un dialogo con altri artisti, pur essendo voi stessi artisti e non curatori. Quanto è importante quindi una collaborazione per attivare degli scambi o per realizzare veri e propri lavori?
Alessandro Moroni: Per me sicuramente è sempre stato molto importante. Infatti abbiamo aperto /77 perché sentivamo la necessità di lavorare in quel modo. Da quando abbiamo aperto il collettivo ad oggi - nonostante io abbia lavorato alla mia produzione meno di quanto avrei fatto se non ci fosse stato /77 - ho imparato di più conoscendo altri artisti. Vedere tutti i loro portfolio, curare le loro mostre, ha comunque rappresentato qualcosa in più per il mio lavoro, è un valore impagabile. Nel momento in cui mi trovo ad essere chiamato per partecipare a una mostra o a qualcos’altro, sento di avere, anche se con meno lavori, molta più esperienza rispetto a prima. Oltretutto il modo di lavorare che abbiamo con /77 è diventato parte integrante della nostra pratica.
Per esempio, una delle cose su cui ho lavorato tanto è l'aspetto di sottofondo, che è anche uno dei motivi per cui il mio lavoro funziona sia a livello sonoro che visivo. Soprattutto gli elementi visivi del mio lavoro, in un certo senso, nascono da un determinato tipo di musica o di suono. Sottofondo inteso come qualcosa che può non essere all’interno di uno spazio, gli si può non prestare attenzione ma è impossibile da non percepire. Il lavoro che ho fatto per la mostra da T-space per esempio: ho osservato come stavano lavorando gli altri due artisti e ho pensato a qualcosa che potesse dare supporto alle loro opere. Per me ha significato comporre una colonna sonora per la mostra. è un tipo di lavoro che non ha lo stesso peso all’interno di uno spazio rispetto agli altri due, è leggermente indietro. Però è "indietro" per sua natura. è una parte fondamentale della mia ricerca.
Alessandro Moroni: Per me sicuramente è sempre stato molto importante. Infatti abbiamo aperto /77 perché sentivamo la necessità di lavorare in quel modo. Da quando abbiamo aperto il collettivo ad oggi - nonostante io abbia lavorato alla mia produzione meno di quanto avrei fatto se non ci fosse stato /77 - ho imparato di più conoscendo altri artisti. Vedere tutti i loro portfolio, curare le loro mostre, ha comunque rappresentato qualcosa in più per il mio lavoro, è un valore impagabile. Nel momento in cui mi trovo ad essere chiamato per partecipare a una mostra o a qualcos’altro, sento di avere, anche se con meno lavori, molta più esperienza rispetto a prima. Oltretutto il modo di lavorare che abbiamo con /77 è diventato parte integrante della nostra pratica.
Per esempio, una delle cose su cui ho lavorato tanto è l'aspetto di sottofondo, che è anche uno dei motivi per cui il mio lavoro funziona sia a livello sonoro che visivo. Soprattutto gli elementi visivi del mio lavoro, in un certo senso, nascono da un determinato tipo di musica o di suono. Sottofondo inteso come qualcosa che può non essere all’interno di uno spazio, gli si può non prestare attenzione ma è impossibile da non percepire. Il lavoro che ho fatto per la mostra da T-space per esempio: ho osservato come stavano lavorando gli altri due artisti e ho pensato a qualcosa che potesse dare supporto alle loro opere. Per me ha significato comporre una colonna sonora per la mostra. è un tipo di lavoro che non ha lo stesso peso all’interno di uno spazio rispetto agli altri due, è leggermente indietro. Però è "indietro" per sua natura. è una parte fondamentale della mia ricerca.
Installation view, Exhibition of the Year 2016, T-space, Milano 2016
ph. Giulia Spreafico
ph. Giulia Spreafico
Roberto Casti: Infatti mi è piaciuto molto quel lavoro. Si identificava con i colori abbinati al rosa e all’azzurro [la mostra era basata sui due colori dell’anno 2016 scelti da Pantone] e andava perfettamente collegandosi con il discorso di sottofondo e di collegamento tra due realtà diverse. E' un concetto che mi è piaciuto anche quando ho visto la mostra da Dimora Artica.
Alessandro Moroni: Esatto, la mostra da Dimora Artica nella fattispecie. La difficoltà principale che ho riscontrato progettando quella mostra è stata: nel momento in cui ho sempre lavorato in situazioni collettive, insieme ad altri, se ci sono solo io nello spazio come può funzionare? Perciò ho basato l'intera struttura sull’audio. In realtà mi piaceva nascesse da una ricerca molto complessa per poi essere un lavoro molto semplice dal punto di vista fruitivo. Poi nel momento in cui ho creato questa traccia ho realizzato delle sculture, degli interventi nello spazio che andavano a supporto dell’audio, e questo stesso audio andava a supporto della mostra.
Roberto Casti: Era sostanzialmente una concatenazione che portava ogni elemento a supportare l’altro.
Alessandro Moroni: Esatto, la traccia era lì per fare da sottofondo ai pezzi che erano in mostra, ma allo stesso tempo i pezzi che erano in mostra erano lì per poter ascoltare meglio la traccia. Se pensi alle due sedute, erano progettate per essere una via di mezzo tra una scultura e un oggetto prettamente funzionale, per ascoltare la traccia. Allo stesso modo nella traccia c’erano una serie di elementi: la questione del loop, il drone, sono cose che rimarcano il ruolo di sottofondo. Questo tema era spinto talmente tanto da diventare autonomo. Adesso ti faccio vedere altre cose.
Alessandro Moroni: Esatto, la mostra da Dimora Artica nella fattispecie. La difficoltà principale che ho riscontrato progettando quella mostra è stata: nel momento in cui ho sempre lavorato in situazioni collettive, insieme ad altri, se ci sono solo io nello spazio come può funzionare? Perciò ho basato l'intera struttura sull’audio. In realtà mi piaceva nascesse da una ricerca molto complessa per poi essere un lavoro molto semplice dal punto di vista fruitivo. Poi nel momento in cui ho creato questa traccia ho realizzato delle sculture, degli interventi nello spazio che andavano a supporto dell’audio, e questo stesso audio andava a supporto della mostra.
Roberto Casti: Era sostanzialmente una concatenazione che portava ogni elemento a supportare l’altro.
Alessandro Moroni: Esatto, la traccia era lì per fare da sottofondo ai pezzi che erano in mostra, ma allo stesso tempo i pezzi che erano in mostra erano lì per poter ascoltare meglio la traccia. Se pensi alle due sedute, erano progettate per essere una via di mezzo tra una scultura e un oggetto prettamente funzionale, per ascoltare la traccia. Allo stesso modo nella traccia c’erano una serie di elementi: la questione del loop, il drone, sono cose che rimarcano il ruolo di sottofondo. Questo tema era spinto talmente tanto da diventare autonomo. Adesso ti faccio vedere altre cose.
Alessandro Moroni, GARAGESUBLIME (2016), Dimora Artica, Milano
Roberto Casti: Ok, sono curioso. Oltre quei due lavori non ho visto altro di tuo dal vivo.
Alessandro Moroni: Questo è un lavoro che ho realizzato per un museo quest’estate. Era organizzato dai curatori del Mart di Rovereto al Mag, Museo Civico di Riva del Garda. Ogni anno il Mart cura una mostra in questo museo completamente esterno all'ambiente dell’arte contemporanea. Invitano artisti ad intervenire sullo spazio in maniera non per forza esplicita, in punti di passaggio, per portare un pubblico non abituato all’arte contemporanea a confrontarsi con queste opere non per forza in maniera esplicita, puntando più su una dimensione esperienziale. Il mio lavoro, per questa occasione, è semplicemente un pattern geometrico realizzato a spray su mdf che si ripete per tutta la balconata del cortile interno. Questo era sottofondo.
Alessandro Moroni: Questo è un lavoro che ho realizzato per un museo quest’estate. Era organizzato dai curatori del Mart di Rovereto al Mag, Museo Civico di Riva del Garda. Ogni anno il Mart cura una mostra in questo museo completamente esterno all'ambiente dell’arte contemporanea. Invitano artisti ad intervenire sullo spazio in maniera non per forza esplicita, in punti di passaggio, per portare un pubblico non abituato all’arte contemporanea a confrontarsi con queste opere non per forza in maniera esplicita, puntando più su una dimensione esperienziale. Il mio lavoro, per questa occasione, è semplicemente un pattern geometrico realizzato a spray su mdf che si ripete per tutta la balconata del cortile interno. Questo era sottofondo.
Alessandro Moroni, Shiva_Thalassa_Bone (2016) ,
Mag - Museo Civico di Riva del Garda
Mag - Museo Civico di Riva del Garda
Alessandro Moroni: Questa è un’altra mostra collettiva a cui avevo partecipato allo spazio Cabinet. Ha avuto luogo poco dopo essermi laureato ed era un progetto curato da Adrian Paci. Aveva scelto diversi suoi ex-studenti. Essendo una pittura murale mi interessava il fatto che, differentemente dagli altri lavori in mostra, avrebbe avuto una durata esattamente pari a quella della mostra. Le altre opere infatti, anche se pensate appositamente per la mostra, sono poi state disallestite e si possono riproporre successivamente per altre occasioni. Per quanto riguarda il mio lavoro invece, disallestire avrebbe voluto dire imbiancare il muro. Perciò sarebbe esistito esclusivamente per la durata della mostra.
Roberto Casti: Perciò un lavoro site-specific anche a livello temporale.
Alessandro Moroni: Esatto! Quindi, a maggior ragione, quello che mi interessava era indagare il più possibile la questione del site-specific. Oltre ad essere una cosa che esisteva solo per la durata della mostra, esisteva anche solo ed esclusivamente per quello spazio. Lavorando su muro, ho riflettuto sul fatto di essere un passo indietro rispetto agli altri. Cioè: mentre gli altri portavano qualcosa all’interno dello spazio io entravo quasi a far parte dello spazio. Da qua nasce anche la scelta di utilizzare dei determinati colori, sempre tenui, per essere il più accomodante possibile.
Roberto Casti: Perciò un lavoro site-specific anche a livello temporale.
Alessandro Moroni: Esatto! Quindi, a maggior ragione, quello che mi interessava era indagare il più possibile la questione del site-specific. Oltre ad essere una cosa che esisteva solo per la durata della mostra, esisteva anche solo ed esclusivamente per quello spazio. Lavorando su muro, ho riflettuto sul fatto di essere un passo indietro rispetto agli altri. Cioè: mentre gli altri portavano qualcosa all’interno dello spazio io entravo quasi a far parte dello spazio. Da qua nasce anche la scelta di utilizzare dei determinati colori, sempre tenui, per essere il più accomodante possibile.
Installation view, Giocando sulla soglia
Courtesy Cabinet & Studiolo, Milano 2015
Courtesy Cabinet & Studiolo, Milano 2015
Roberto Casti: Infatti questa è una cosa che ho notato. è proprio un particolare del tuo lavoro.
Alessandro Moroni: Sì, si! Ecco, questa è la mostra con Guendalina Cerruti. In un certo senso rappresenta l’estremizzazione totale di tutto questo discorso. Mi è servito farlo così "estremo" perché era il primo lavoro dopo aver finito la tesi, era per mettere in chiaro le cose. Attraverso la pittura murale ho creato uno spazio intermedio tra lo spazio effettivo e i lavori di un altro artista. Anche in questo caso, ritornando alla questione della collaborazione, è chiaro che senza il lavoro di Guendalina, il mio lavoro non sarebbe mai esistito. Esiste esclusivamente a supporto del suo lavoro. Questo è in realtà poi lo statement di 77, quindi è tutto molto collegato.
Alessandro Moroni: Sì, si! Ecco, questa è la mostra con Guendalina Cerruti. In un certo senso rappresenta l’estremizzazione totale di tutto questo discorso. Mi è servito farlo così "estremo" perché era il primo lavoro dopo aver finito la tesi, era per mettere in chiaro le cose. Attraverso la pittura murale ho creato uno spazio intermedio tra lo spazio effettivo e i lavori di un altro artista. Anche in questo caso, ritornando alla questione della collaborazione, è chiaro che senza il lavoro di Guendalina, il mio lavoro non sarebbe mai esistito. Esiste esclusivamente a supporto del suo lavoro. Questo è in realtà poi lo statement di 77, quindi è tutto molto collegato.
Installation view, 1x1 - Alessandro Moroni & Guendalina Cerrutti, /77, Milano 2015
Roberto Casti: E' interessante il fatto che tu faccia da intermediario per qualcuno. Il tuo lavoro è una sorta di passaggio, non a livello spaziale solamente, che porta dall’esterno ovvero dallo spazio, per arrivare a quello che c’è all’interno cioè i lavori artistici. Ci sei tu in mezzo.
Alessandro Moroni: Esattamente. Da un punto di vista prettamente formale, sia musicalmente che visivamente, la mia ricerca parte dallo studio del minimalismo. C’è un testo di Liam Gillick, sul quale ho basato la mia tesi di laurea, in cui si parla di tutta la storia dell’astrazione, intesa come l’astrazione più radicale, da Malevich con quadrato nero su fondo bianco fino ai minimalisti degli anni 60-70. Si parla di quanto tutta questa ricerca sia stata un fallimento, in quanto più si prova ad andare verso l’astrazione totale - più auto-referenziale - più si arriva a realizzare qualcosa di estremamente concreto. è il motivo per cui, alla fine dei conti, l’estetica degli Stacks di Donald Judd diventa quella dei mobili dell’Ikea. Diventa tanto auto-referenziale da trasformarsi di per sé in qualcosa di concreto e funzionale. Allo stesso tempo questa cosa la si ritrova anche in musica. Se pensiamo alla musica ambient o minimalista radicale, come la musica drone di La Monte Young e altri, pensiamo anche a come quella cosa sia diventata poi molto spiccia. La musica drone degli anni 60 era un tentativo di ripulire il più possibile l’ascolto e di farlo diventare un’esperienza senza alcun tipo d’intrattenimento. Successivamente però viene sfruttata per far stare bene le persone, vedi il caso della New Age. Ed è lo stesso motivo per cui, ad esempio, quando lavoro con l’audio cerco allo stesso modo di essere il più piacevole possibile, nella maniera più semplice. Il sottofondo rilassante è intrinseco a questo tipo di estetica, sia visivamente che musicalmente.
Roberto Casti: Alla fine è una ricerca che si ricollega a quelle che sono le tendenze minimaliste traslate negli oggetti di consumo odierni. L’estetica dell’Ikea ma anche del Pantone per esempio, sono lineari, piacevoli che non disturbano mai alla fine.
Alessandro Moroni: Il mio scopo è proprio quello. Allo stesso tempo voglio che sia talmente piacevole e poco di disturbo da rimanere sul limite tra piacevole e stucchevole. Per esempio il lavoro da T-space era questa cosa qua: creare una traccia che fosse il più possibile piacevole ma, solo per il fatto che sarebbe andata in loop all’infinito, avrebbe creato un’atmosfera estremamente opprimente ad un certo punto. Poi c’è il lavoro sulle canaline. I lavori degli altri due artisti erano esplicitamente basati sul tema di quei due colori di pantone, il rosa e l’azzurro. Nel momento in cui ho deciso che il mio lavoro vero sarebbe stata la traccia che avrebbe fatto da sottofondo, sono andato a cercare i colori consigliati da Pantone per essere abbinati a quelli dell’anno. Ho scelto questi due che sono un azzurrino e un verdino. Anche questa in realtà è un’operazione molto semplice. Da un lato è una scelta molto ironica perché si tratta di riproporre la questione della spersonalizzazione - che sta alla base del minimalismo - e cioè: lascio scegliere i colori che devo usare dal sito di Pantone. Anche se non decido di usare i colori dell’anno, decido di affidare comunque la scelta a Pantone.
Roberto Casti: In effetti è un procedimento molto minimalista che prevede però l’utilizzo di sistemi di scelta consumistici. Mi viene in mente l’approccio di John Cage - che per comporre si affidava al caso - traslato nel mondo di oggi.
Un altro discorso interessante è quello legato alle piattaforme comuni di composizione musicali come GarageBand. Tema questo che hai trattato anche nella mostra di Dimora Artica.
Alessandro Moroni: Esatto, infatti ora sto lavorando a delle tracce nuove partendo proprio da quel discorso. Poi c’è un’altra cosa che mi ha sempre interessato dell’estetica minimalista. Ripulendo e arrivando ad una forma sempre più autonoma, si raggiunge per forza una sorta di aura spirituale. ed è quello che ho cercato di rimarcare a Dimora Artica utilizzando una voce meccanica di Google. Questa voce, puramente digitale, nel momento in cui viene ripetuta come un mantra, diventa quasi spirituale. Soprattutto mi interessava particolarmente il momento in cui si sdoppiano. Perché il procedimento che ho usato è quello del "phasing", studiato da Steve Reich, uno dei primi compositori minimalisti. Due loop di nastro magnetico identici, ma di durata leggermente diversa, vengono fatti partire all’unisono e, man mano che vanno avanti e si ripetono, escono di fase l’uno rispetto all’altro. La distanza continua ad aumentare finché poi non ritornano al punto di partenza assieme.
Roberto Casti: Anche per questo trovo molto interessante l’approccio che hai con il suono. Sono rimasto molto colpito dal live che hai fatto [quello di cui si parlava all’inizio dell’intervista] perché alla fine rispecchiava l’idea che ha rappresentato quella serata: un momento in cui il pubblico poteva guardare la mostra in tranquillità ascoltando la tua musica. La gente mi ha detto che si è sentita rilassata, mi è sembrata una cosa bellissima.Ora sto pensando a come far dialogare in una traccia due approcci come i nostri. La tua logica di sottofondo è molto presente mentre io a livello musicale cerco di essere il più indistinguibile possibile. Nel senso che ci sono sia elementi piacevoli che di disturbo.
Alessandro Moroni: Infatti quando ho sentito un disco che c’è su Bandcamp ho notato che ci sono delle parti molto noise, molto spinte.
Roberto Casti: Forse hai ascoltato l’ultimo ep che ho fatto, quello dopo Another Sun. Mi piace il cambiamento continuo anche perché The Boys and Kifer funziona come una non identità e le canzoni si devono comportare di conseguenza. Proprio per questo sono molto importanti le collaborazioni per il prossimo album. Volevo allontanarmi dalla logica di Another Sun, ma anche del primissimo album, che erano sostanzialmente uno statement per una band finta in cui in realtà facevo tutto io. Vorrei raggiungere ora una sorta di mimetizzazione attraverso le collaborazioni con altri artisti. Sarebbe quindi interessante riuscire a trovare un modo per avvicinare questo camouflage caotico al tuo minimalismo. Tu ora cosa stai ascoltando?
Alessandro Moroni: Esattamente. Da un punto di vista prettamente formale, sia musicalmente che visivamente, la mia ricerca parte dallo studio del minimalismo. C’è un testo di Liam Gillick, sul quale ho basato la mia tesi di laurea, in cui si parla di tutta la storia dell’astrazione, intesa come l’astrazione più radicale, da Malevich con quadrato nero su fondo bianco fino ai minimalisti degli anni 60-70. Si parla di quanto tutta questa ricerca sia stata un fallimento, in quanto più si prova ad andare verso l’astrazione totale - più auto-referenziale - più si arriva a realizzare qualcosa di estremamente concreto. è il motivo per cui, alla fine dei conti, l’estetica degli Stacks di Donald Judd diventa quella dei mobili dell’Ikea. Diventa tanto auto-referenziale da trasformarsi di per sé in qualcosa di concreto e funzionale. Allo stesso tempo questa cosa la si ritrova anche in musica. Se pensiamo alla musica ambient o minimalista radicale, come la musica drone di La Monte Young e altri, pensiamo anche a come quella cosa sia diventata poi molto spiccia. La musica drone degli anni 60 era un tentativo di ripulire il più possibile l’ascolto e di farlo diventare un’esperienza senza alcun tipo d’intrattenimento. Successivamente però viene sfruttata per far stare bene le persone, vedi il caso della New Age. Ed è lo stesso motivo per cui, ad esempio, quando lavoro con l’audio cerco allo stesso modo di essere il più piacevole possibile, nella maniera più semplice. Il sottofondo rilassante è intrinseco a questo tipo di estetica, sia visivamente che musicalmente.
Roberto Casti: Alla fine è una ricerca che si ricollega a quelle che sono le tendenze minimaliste traslate negli oggetti di consumo odierni. L’estetica dell’Ikea ma anche del Pantone per esempio, sono lineari, piacevoli che non disturbano mai alla fine.
Alessandro Moroni: Il mio scopo è proprio quello. Allo stesso tempo voglio che sia talmente piacevole e poco di disturbo da rimanere sul limite tra piacevole e stucchevole. Per esempio il lavoro da T-space era questa cosa qua: creare una traccia che fosse il più possibile piacevole ma, solo per il fatto che sarebbe andata in loop all’infinito, avrebbe creato un’atmosfera estremamente opprimente ad un certo punto. Poi c’è il lavoro sulle canaline. I lavori degli altri due artisti erano esplicitamente basati sul tema di quei due colori di pantone, il rosa e l’azzurro. Nel momento in cui ho deciso che il mio lavoro vero sarebbe stata la traccia che avrebbe fatto da sottofondo, sono andato a cercare i colori consigliati da Pantone per essere abbinati a quelli dell’anno. Ho scelto questi due che sono un azzurrino e un verdino. Anche questa in realtà è un’operazione molto semplice. Da un lato è una scelta molto ironica perché si tratta di riproporre la questione della spersonalizzazione - che sta alla base del minimalismo - e cioè: lascio scegliere i colori che devo usare dal sito di Pantone. Anche se non decido di usare i colori dell’anno, decido di affidare comunque la scelta a Pantone.
Roberto Casti: In effetti è un procedimento molto minimalista che prevede però l’utilizzo di sistemi di scelta consumistici. Mi viene in mente l’approccio di John Cage - che per comporre si affidava al caso - traslato nel mondo di oggi.
Un altro discorso interessante è quello legato alle piattaforme comuni di composizione musicali come GarageBand. Tema questo che hai trattato anche nella mostra di Dimora Artica.
Alessandro Moroni: Esatto, infatti ora sto lavorando a delle tracce nuove partendo proprio da quel discorso. Poi c’è un’altra cosa che mi ha sempre interessato dell’estetica minimalista. Ripulendo e arrivando ad una forma sempre più autonoma, si raggiunge per forza una sorta di aura spirituale. ed è quello che ho cercato di rimarcare a Dimora Artica utilizzando una voce meccanica di Google. Questa voce, puramente digitale, nel momento in cui viene ripetuta come un mantra, diventa quasi spirituale. Soprattutto mi interessava particolarmente il momento in cui si sdoppiano. Perché il procedimento che ho usato è quello del "phasing", studiato da Steve Reich, uno dei primi compositori minimalisti. Due loop di nastro magnetico identici, ma di durata leggermente diversa, vengono fatti partire all’unisono e, man mano che vanno avanti e si ripetono, escono di fase l’uno rispetto all’altro. La distanza continua ad aumentare finché poi non ritornano al punto di partenza assieme.
Roberto Casti: Anche per questo trovo molto interessante l’approccio che hai con il suono. Sono rimasto molto colpito dal live che hai fatto [quello di cui si parlava all’inizio dell’intervista] perché alla fine rispecchiava l’idea che ha rappresentato quella serata: un momento in cui il pubblico poteva guardare la mostra in tranquillità ascoltando la tua musica. La gente mi ha detto che si è sentita rilassata, mi è sembrata una cosa bellissima.Ora sto pensando a come far dialogare in una traccia due approcci come i nostri. La tua logica di sottofondo è molto presente mentre io a livello musicale cerco di essere il più indistinguibile possibile. Nel senso che ci sono sia elementi piacevoli che di disturbo.
Alessandro Moroni: Infatti quando ho sentito un disco che c’è su Bandcamp ho notato che ci sono delle parti molto noise, molto spinte.
Roberto Casti: Forse hai ascoltato l’ultimo ep che ho fatto, quello dopo Another Sun. Mi piace il cambiamento continuo anche perché The Boys and Kifer funziona come una non identità e le canzoni si devono comportare di conseguenza. Proprio per questo sono molto importanti le collaborazioni per il prossimo album. Volevo allontanarmi dalla logica di Another Sun, ma anche del primissimo album, che erano sostanzialmente uno statement per una band finta in cui in realtà facevo tutto io. Vorrei raggiungere ora una sorta di mimetizzazione attraverso le collaborazioni con altri artisti. Sarebbe quindi interessante riuscire a trovare un modo per avvicinare questo camouflage caotico al tuo minimalismo. Tu ora cosa stai ascoltando?
The Boys and Kifer, cover di EP2016
Alessandro Moroni: Un pò di cose. Innanzitutto convivono in me due approcci diversi, sia dal punto di vista dell’ascolto che di produzione. Quello di ricerca che è la parte di me che ascolta Steve Reich piuttosto che altri compositori minimalisti, e musica ambient. Poi c'è la parte più legata all’intrattenimento.
Roberto Casti: Più legata a quello che fai con il tuo gruppo [Sharazad].
Alessandro Moroni: Esattamente quello. Nonostante col gruppo cerchiamo di essere il più sperimentali possibili, siamo comunque legati alla forma canzone e a determinati riferimenti espliciti come quello del rock classico anni 60-70, dai Beatles ai Pink Floyd. Ci sono alcune cose che stanno un pò in mezzo e che, alla fine, sono quelle che mi piacciono di più. Per esempio i Godspeed You! Black Emperor sono la mia band preferita in assoluto.Allora, diciamo che tutta la mia ricerca è partita da quando ho ascoltato per la prima volta Steve Reich. Music for 18 musicians mi ha cambiato la vita. Quello era anche il momento in cui il mio lavoro ha preso una direzione precisa. Ma in realtà sono arrivato a quello perché sapevo che era la roba a cui si ispiravano anche i Godspeed You! Black Emperor, gruppo che ascolto dai tempi del liceo. Loro stanno in mezzo tra il progressivo e il minimalismo. Sono una delle band più importanti di quel genere che viene chiamato Post-rock. Pensiamo anche ai Mogwai.
Roberto Casti: I Mogwai li ho visti dal vivo.
Alessandro Moroni: Anche io! all’Alcatraz.
Roberto Casti: Anche io! forse eravamo allo stesso concerto.
Alessandro Moroni: Possibile!
Poi c’è tanta musica degli anni 60-70 oltre roba più contemporanea però tendente al folk rock. Fleet Floxes per esempio.
Roberto Casti: Il folk rock mi manca.
Alessandro Moroni: Per me è fondamentale. In maniera stupida mi piace rileggere questa cosa pensando che sono cresciuto in campagna e quindi dentro di me c’è sempre stata una vena folk. Oggi ascolto molta roba sperimentale però alla fine dietro c’è sempre Bob Dylan, un punto fondamentale. De André, Battiato, Lucio Dalla.
Roberto Casti: Ah beh si si. Io da piccolo avevo l’influenza di mio padre. Ascoltavo, passivamente, tutti i dischi di Battisti, Battiato, oltre che quelli dei Pink Floyd, dei Genesis e dei Beatles.
[Scrolliamo su iTunes]
Alessandro Moroni: Jack White: genio. Un pò mi vergogno ma anche in Lana del Rey c’è qualcosa che mi piace. Kevin Morby, ecco un disco uscito quest’anno. Bellissimo!
Roberto Casti: Ho intravisto la colonna sonora di Stranger Things.
Alessandro Moroni: Stupenda quella, è incredibile! Ecco Leonard Cohen, I National mi piacciono molto, molto, molto. I Nirvana direttamente dall’adolescenza. Philipp Glass. Pink Floyd. Gli Stars of the Lid fanno dischi che durano in media due ore, impegnativi. Sono un duo drone ma invece di utilizzare strumenti elettronici usano chitarre “super effettate". Steve Reich. I Van Pelt, geniali. Sono una band post-hardcore di fine anni 90. Tutto il cantato è parlato. Fanno morire. Non è una cosa alla Massimo Volume, i Massimo Volume sono seri mentre i Van peli sono proprio scemi.Ecco in questo disco dei Godspeed You! Black Emperor c’è tutto quello che mi piace. Ascoltarlo è il modo migliore per capire cosa mi piace in musica.
Roberto Casti: Più legata a quello che fai con il tuo gruppo [Sharazad].
Alessandro Moroni: Esattamente quello. Nonostante col gruppo cerchiamo di essere il più sperimentali possibili, siamo comunque legati alla forma canzone e a determinati riferimenti espliciti come quello del rock classico anni 60-70, dai Beatles ai Pink Floyd. Ci sono alcune cose che stanno un pò in mezzo e che, alla fine, sono quelle che mi piacciono di più. Per esempio i Godspeed You! Black Emperor sono la mia band preferita in assoluto.Allora, diciamo che tutta la mia ricerca è partita da quando ho ascoltato per la prima volta Steve Reich. Music for 18 musicians mi ha cambiato la vita. Quello era anche il momento in cui il mio lavoro ha preso una direzione precisa. Ma in realtà sono arrivato a quello perché sapevo che era la roba a cui si ispiravano anche i Godspeed You! Black Emperor, gruppo che ascolto dai tempi del liceo. Loro stanno in mezzo tra il progressivo e il minimalismo. Sono una delle band più importanti di quel genere che viene chiamato Post-rock. Pensiamo anche ai Mogwai.
Roberto Casti: I Mogwai li ho visti dal vivo.
Alessandro Moroni: Anche io! all’Alcatraz.
Roberto Casti: Anche io! forse eravamo allo stesso concerto.
Alessandro Moroni: Possibile!
Poi c’è tanta musica degli anni 60-70 oltre roba più contemporanea però tendente al folk rock. Fleet Floxes per esempio.
Roberto Casti: Il folk rock mi manca.
Alessandro Moroni: Per me è fondamentale. In maniera stupida mi piace rileggere questa cosa pensando che sono cresciuto in campagna e quindi dentro di me c’è sempre stata una vena folk. Oggi ascolto molta roba sperimentale però alla fine dietro c’è sempre Bob Dylan, un punto fondamentale. De André, Battiato, Lucio Dalla.
Roberto Casti: Ah beh si si. Io da piccolo avevo l’influenza di mio padre. Ascoltavo, passivamente, tutti i dischi di Battisti, Battiato, oltre che quelli dei Pink Floyd, dei Genesis e dei Beatles.
[Scrolliamo su iTunes]
Alessandro Moroni: Jack White: genio. Un pò mi vergogno ma anche in Lana del Rey c’è qualcosa che mi piace. Kevin Morby, ecco un disco uscito quest’anno. Bellissimo!
Roberto Casti: Ho intravisto la colonna sonora di Stranger Things.
Alessandro Moroni: Stupenda quella, è incredibile! Ecco Leonard Cohen, I National mi piacciono molto, molto, molto. I Nirvana direttamente dall’adolescenza. Philipp Glass. Pink Floyd. Gli Stars of the Lid fanno dischi che durano in media due ore, impegnativi. Sono un duo drone ma invece di utilizzare strumenti elettronici usano chitarre “super effettate". Steve Reich. I Van Pelt, geniali. Sono una band post-hardcore di fine anni 90. Tutto il cantato è parlato. Fanno morire. Non è una cosa alla Massimo Volume, i Massimo Volume sono seri mentre i Van peli sono proprio scemi.Ecco in questo disco dei Godspeed You! Black Emperor c’è tutto quello che mi piace. Ascoltarlo è il modo migliore per capire cosa mi piace in musica.
Godspeed You! Black Emperor,
cover di "Lift your skinny fists like antennas to heaven" (2000)
cover di "Lift your skinny fists like antennas to heaven" (2000)